Serendipità e Zemblanità: storie di parole straordinarie

Vi è mai capitato di fare piacevoli scoperte non volute e per puro caso? Ecco, allora sapete di cosa stiamo parlando: la serendipità. Una parola affascinante e una sensazione straordinaria.  Ma allo stesso modo, vi sarà successo di fare spiacevoli scoperte; ecco, in quel caso ci troviamo davanti alla zemblanità: una parola sconosciuta e una sensazione non proprio da ricordare.

Le scoperte involontarie, soprattutto se piacevoli e utili, sono le più piacevoli. Attenzione, però, a non confondere: non stiamo parlando dei proverbiali colpi di fortuna. La fortuna è per definizione cieca ed elargisce i suoi premi a caso senza una logica. La serendipità è, invece, il risultato cosciente di un processo casuale. Nella scoperta casuale fondamentali sono l’intelligenza e la conoscenza.

La parola è intrigante anche per la sorprendente etimologia. La serendipità ha guidato l’umanità a compiere grandi scoperte che influenzano la nostra vita quotidiana. Ed è quindi interessante ripercorre la sua storia.

L’etimologia: dallo Sri Lanka a Horace Walpole

horace_walpole_by_john_giles_eccardtIl termine serendipità fu coniato dallo scrittore inglese Horace Walpole (1717-1797). La  prima attestazione della parola è in una lettera, firmata 28 gennaio 1754, inviata all’amico Horace Mann. Walpole è universalmente noto per Il Castello di Otranto (1764), considerato il primo romanzo gotico.

Horace Mann (1706-1786) è, invece, una personalità meno famosa. Mann fu un importante diplomatico inglese. Visse lungamente a Firenze ricomprendo la carica di rappresentante della Corona britannica presso la Corte granducale. Inoltre Mann fu un accanito collezionista d’arte. Il pittore tedesco Johann Zoffany (1733-1810), inviato in Italia dalla regina Carlotta d’Inghilterra, ritrasse Mann e altri membri della comunità britannica di Firenze nella celeberrima Tribuna degli Uffizi (1772-1778).

Walpole conobbe il diplomatico a Firenze durante il suo viaggio in Italia (1739-1741).

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Johan Zoffany La tribuna degli Uffizi

Scrive Walpole a Mann: “questa è una scoperta [Walpole si riferiva a una scoperta riguardo uno stemma antico] che io chiamo serendipity, una parola molto espressiva che, giacché non ho niente di meglio da raccontarti, cercherò di spiegarti: la capirai meglio per derivazione che per definizione. Una volta lessi una sciocca favoletta intitolata The Three Princes of Serendip: nel corso dei loro viaggi le loro altezze [i protagonisti della “favoletta”] scoprivano continuamente per caso e per sagacia cose che non andavano cercando: per esempio uno di loro scoprì che un mulo cieco dall’occhio destro era passato per la loro stessa strada di recente, perché l’erba era mangiata solo sul lato sinistro, dove era più brutta che sul destro – ora capisci cos’è la serendipity”.

Walpole nel coniare il neologismo serendipity s’ispirò a un racconto dello scrittore Cristoforo Armeno (XVI secolo). Di Cristoforo, originario dell’Armenia, come si poteva intuire dal nome, scarsissime sono le notizie biografiche. Nel 1554 Cristoforo approdò a Venezia, dove viveva una nutrita comunità armena. Nel 1557 pubblicò nella stessa Venezia il Peregrinaggio di tre giovani figliuoli del re di Serendippo, unica sua opera conosciuta. Non si tratta di un testo originale. Cristoforo, infatti, adattò, traducendo in italiano, il primo libro dell’ Hasht-Bihisht di Amir Khusrau, autore persiano del XIV secolo. Nel Settecento l’opera fu riscoperta e tradotta in francese e inglese. Il testo di Cristoforo Armeno fu fonte di ispirazione anche per Voltaire (1694-1778). Il filosofo francese lo riprese per il suo Zadig, o il libro del fato (1747).

Le vicende del Peregrinaggio si svolgono “nel paese di Serendippo”. Serendip è l’antico nome persiano dell’isola di Sri Lanka. La trama della novella coinvolge tre personaggi che nel corso delle rispettive vite compiono fantastiche scoperte. Scoperte che, però, sono totalmente involontarie. Scoperte “serendipitiche”.

Julius H. Comroe Jr. (1911-1984), ricercatore biomedico di origine statunitense, ha così definito la serendipità: ” La serendipità è cercare un ago in un pagliaio e trovarci la figlia del contadino”

Casi famosi di serendipità

Molteplici sono le scoperte scientifiche (e non solo) nelle quali è stato determinante il ruolo svolto dalla serendipità. E non dalla fortuna.

Il primo e il più famoso non può che essere Cristoforo Colombo che nel suo viaggio verso le Indie passando da Ovest incocciò in un nuovo continente. Il navigatore genovese nel 1492 scoprì un nuovo continente cercando l’Asia. Della sua scoperta, però, non fu consapevole perché pensava di essere giunto nelle Indie. Una serendipità inconsapevole! E dei benefici della scoperta del Nuovo continente si saziarono gli spagnoli. Mentre per i nativi non fu certo un evento positivo!

Alexander Fleming
Alexander Fleming

Allo stesso modo anche Isaac Newton (1642-1727) riconobbe la forza di gravità osservando la caduta di una mela dall’albero.

Celeberrimo è il caso della scoperta della penicillina da parte del fisiologo scozzese Alexander Fleming (1881-1955) nel 1929. Fleming interpretò correttamente la funzione antibatterica della muffa pencillium rubrum (successivamente individuata come pencillium notatum) che per caso si era formata su una provetta. Da questa annotazione di Fleming nascono i moderni farmaci antibiotici. Che grande servigio ha reso la serendipità all’umanità.

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L’invenzione dei post-it fu casuale

Anche i post-it scaturiscono da un caso fortunato. Nel 1968 il chimico statunitense Silver Spencer stava cercando di sintetizzare una colla molto adesiva. Lo scopo di questa ricerca era militare. Spencer creò, però, una colla non molto adesiva. La colla non sembrava avere delle implicazioni pratiche. Finché non entrò in scena il coro di Arthur Fry.

Nel 1974 Fry, un collega di Spencer, che cantava in un coro di una chiesa, usò la colla per far aderire alcuni segnalibri al libro degli inni allo scopo che restassero fermi. Così, sono nati i post-It!

Potete trovare qui altri casi famosi di serendipità.

La Zemblanità: perché non tutte le scoperte possono essere positive

Esiste una versione negativa della serendipità? Nella realtà, eccome se esiste, ma, sorprendentemente, fino a poco tempo fa non era stato coniato un termine per connotare tale aspetto della vita. Il contrario di serendipità è zemblanità. O almeno lo dovrebbe essere. Questo poiché tale termine non è stato introdotto nel gergo comune.

Zemblanity è un termine coniato dallo scrittore scozzese William Boyd (1952-). Boyd lo usa per la prima volta nel romanzo Amarillo (1998). Lo scrittore basa l’etimologia della parola sull’esatto contrario della Serendipità e della terra di Serendip.

Scrive Boyd: “Qual è l’opposto di Serendip [Sri Lanka], una terra meridionale piena di spezie e di caldo, con una vegetazione lussureggiante e con i colibrì e baciata dal sole e dal mare? Pensa a un altro mondo nel più profondo nord, spoglio, ghiacciato, freddo, un mondo di selci e pietre. Chiamalo Zembla. Ergo: zemblanità è l’opposto di serendipità. Ed è la facoltà di fare spiacevoli e sfortunate scoperte. La serendipità e la zemblanità sono i poli gemelli di un asse attorno al quale noi tutti giriamo”. Nella zemblanità manca, in quanto contrario della serendipità, l’elemento casuale non voluto.

Il termine, come appena visto, trae origine dall’isola di Zembla. L’isola di Zembla è stata ripresa da Boyd da un’opera, Fuoco Pallido (1962), dell’eminente scrittore russo Vladimir Nabokov (1899-1977).

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L’arcipelago di Novaja Zemlja visto dal satellite

Nabokov descrive la terra di Zembla che è situata nel più profondo nord artico. Il riferimento non può che essere la Novaja Zemlja.

Novaja Zemlja, letteralmente la nuova terra, è un arcipelago russo di una superficie complessiva di 82.600 km quadrati, costituito da due isole maggiori, Severnyj e Juznyj. Fisicamente, le isole sono un estensione degli Urali. Per questo motivo l’arcipelago è per lo più montagnoso.

L’arcipelago ha un clima artico e un aspetto poco invitante. Le temperature da settembre a maggio scendono costantemente sotto lo zero. Nei mesi invernali la colonnina di mercurio scende anche a -25. L’arcipelago è quasi pressoché disabitato. Solo poco più di 2 mila persone vivono nelle isole. Beluš’ja Guba è il centro principale.

L’arcipelago è noto per essere stato il luogo scelto dai sovietici per condurre degli esperimenti atomici. Durante la guerra fredda circa 130 test atomici si sono svolti nelle sperdute isole. Nel 1961 fu fatta esplodere la più potente bomba all’idrogeno sperimentata, la Bomba Zar, che causò, a causa della sua eccezionale potenza, danni anche una distanza di 1000 km. L’ordigno sprigionò un’energia 3125 volte più potente dalla bomba atomica di Hiroshima. La forza della bomba provocò un terremoto di magnitudo 5,2.

Insomma Novaya Zemlja non è propriamente un luogo di delizia e può ben meritare la scelta di Boyd.

In italiano?

Zemblanità non è, tuttavia, una parola italiana. Non è presente nei dizionari italiani poiché non ha un uso corrente nella nostra lingua. Zemblanità è soltanto una mia traduzione sulla falsariga del neologismo di Boyd. Tale parola, però, merita di essere introdotta perché descrive una situazione presente nella realtà. E anche perché è corretto dare un degno contrario al concetto di serendipità.

 

 

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