L’Islanda: l’isola dei pirati

Domani 29 ottobre si svolgeranno in Islanda le elezioni politiche anticipate. Le elezioni sono state indette nello scorso aprile a seguito delle dimissioni del primo ministro Sigmundur Gunnalaugsson, travolto dallo scandalo Panama Papers. Si tratta di un appuntamento molto atteso che può decretare la sorprendente vittoria del Partito dei Pirati. Il partito, connotato come forza antisistema, ha una storia recentissima ed ha avuto negli anni una crescita travolgente. All’arrembaggio della democrazia islandese!

Il caso dei pirati islandesi rientra soltanto nella critica antisistema, assai comune adesso in Europa, o contiene, invece, degli elementi propri della situazione isolana?

La terra dei vichinghi
satellite_image_of_iceland_in_september1
L’Islanda vista dal satellite

L’Islanda, inesplorata isola dell’Atlantico, è uno dei paesi europei meno popolati. Infatti, a fronte di una superficie di 102 km quadrati (un terzo dell’Italia), ha una popolazione di 321 mila persone. Più di un terzo degli islandesi vive nella capitale Reykjavík (119 mila abitanti). Data l’esiguità della popolazione si può correreil rischio di sposarsi tra consanguinei o avere una concreta possibilità d’incontrare il primo ministro. Un piccolo stato, ma carico di fascino e storia. Celebre per la sua natura, per i suoi vulcani e per i fenomeni geofisici, quali i geyser, provocati dalla dorsale medio atlantica che scorre sotto l’isola.

La presenza umana sull’isola è relativamente recente. Non è certo il periodo in cui è avvenuta la colonizzazione umana. Comunque, è verosimile che questa si sia verificata nei secoli dell’Alto Medioevo. Prima con la frequentazione di monaci eremiti provenienti dalle isole britanniche e successivamente con più decisa presenza dei vichinghi.

Nell’IX secolo i vichinghi, provenienti dalla Penisola Scandinava, si stabilirono sull’isola. Gli uomini del Nord dettero vita a uno dei più antichi parlamenti ancora esistenti. Fondarono, infatti, l’Althing, a Þingvellir, nell’entroterra isolano, dove si riunivano, a scadenze fissate, i capi religiosi e politici delle comunità vichinghe. Nel XI secolo i vichinghi si convertirono al cristianesimo.

Nel 1397, con l’Unione di Kalmar, l’Islanda si trovò unificata per via dinastica ai paesi scandinavi (Svezia, Danimarca e Norvegia) sotto il potere della regina Margherita I. Questa data segnò l’inizio del dominio danese sull’isola.

Nei secoli successivi all’Unione di Kalmar, l’Islanda fu, quindi, una colonia danese e seguì le sorti della madrepatria. Questa situazione durò fino al 1944, quando, con un referendum popolare, gli islandesi decisero per l’autodeterminazione nazionale. La Danimarca, all’epoca occupata dalla Germania nazista, non potè che prendere atto dalla scelta degli isolani. Nacque la Repubblica d’Islanda.

L’Islanda indipendente fondò la propria economia sulla pesca diventando uno dei paesi europei più virtuosi e prosperi. Almeno fino al 2008.

La crisi delle banche del 2008

La crisi economica che nel 2008 sconvolse l’isola è ricordata come uno dei momenti più drammatici nell’intera storia dell’Islanda.

Nel 2008 le tre principali banche fallirono a breve distanza l’una dall’altra. Le banche, privatizzate a partire dal 1998, si erano rese responsabili di una serie di scellerati investimenti che causarono un debito complessivo di 85 milioni di euro. Il governo, che non era in grado di far fronte ai debiti, si trovò costretto a far fallire le banche. Dopo il fallimento pilotato, lo Stato nazionalizzò le banche dirottando i conti degli islandesi in 2 banche “sane”. Lo stato islandese si fece, così, carico dell’enorme debito. Il debito pubblico raggiunse la cifra record di 50 miliardi di euro di fronte a PIL nazionale di 8,5 miliardi. La kruna islandese fu svalutata del 35% e l’inflazione raggiunse il 14%. L’Islanda si rivolse al Fondo Monetario Internazionale ricevendo un prestito secco di 2,1 miliardi.

A tutto questo si aggiunse la situazione dei correntisti stranieri. Il Regno Unito e i Paesi Bassi li risarcirono, convinti da riaversi, successivamente, con le banche islandesi. Il governo, costretto ad accettare la proposta di restituzione agli inglesi e agli olandesi di 3,4 miliardi in 15 anni, scelse di far affidamento sul “contributo” dei cittadini (100 euro al mese per 15 anni). Gli islandesi, eredi dei fieri guerrieri vichinghi, non la presero proprio benissimo.

La reazione degli islandesi
motmaelendur_vid_althingishusid
Manifestazione di protesta nel 2008

Si susseguirono nei primi mesi del 2009 vibranti e partecipatissime manifestazioni di piazza. I manifestanti rifiutavano il progetto di rimborso sostenendo che a pagare, invece, fossero i veri responsabili: i banchieri e il governo islandese. Le agitazioni ottennero il risultato sperato.

Il Primo ministro Geir Hilmar Haarde si dimise e fu indetto un referendum popolare con oggetto il progetto di risarcimento dei debiti. Schiacciante fu la vittoria (93%) del fronte che si opponeva a tale prospettiva. A pagare furono i responsabili.

Fu, inoltre, deciso di redigere una nuova costituzione. Scarsa fu l’affluenza alle elezioni per la composizione dell’Assemblea nell’autunno del 2010, circa il 36%. Furono eletti, quindi, i 25 membri della Costituente. Gli eletti erano tutti cittadini non iscritti a nessun partito.  Tra i padri costituenti vi erano anche un contadino e un pastore, oltre a celebrate personalità del mondo accademico, giornalistico e sindacale. In questo clima di sfiducia verso i partiti tradizionali nel 2010 nelle elezioni comunali di Reykjavík vinse Jon Gnarr, famoso comico islanese, con il suo joke party Best Party, del quale ce ne siamo già occupato in un precedente articolo.

Tutti gli islandesi furono partecipi ai lavori della costituente; via internet, attraverso i social networks, streaming e videoconferenze i cittadini potevano interagire esprimendo il proprio parere. La vera democrazia diretta 2.0. Nel 2011 la bozza della nuova costituzione venne presentata al Parlamento per approvazione. Da allora l’iter per la sua attuazione si è arenato, forse irrimediabilmente.

Dal 2008 l’economia islandese ha avuto un netta ripresa puntando soprattutto sul turismo, settore in grande espansione, tanto che nel 2017 sono attesi circa 2 milioni e mezzo di visitatori. Un autentico record per l’isola. Tutto sembrava andare per il meglio, finché non è esploso lo scandalo dei Panama Papers.

Lo scandalo dei Panama Papers
2524762_full-lnd
I tifosi islandesi in azione. Hanno supportato calorosamente la squadra in Francia. Alla partita con il Portogallo erano in 20 mila, 8% della popolazione isolana. Un record!

Il 2016 resterà nella storia islandese come l’anno del grande orgoglio nazionale, esplicitato in tutta la sua forza grazie ai risultati della nazionale ai Campionati europei di Francia. La nazionale nordica ha prima fermato con un pareggio il cammino del Portogallo, poi vincitore della manifestazione, ed eliminato con merito i presuntuosi maestri inglesi. La avventura islandese si è arrestata nei quarti di finale con la netta sconfitta contro i padroni di casa (5-2). Sconfitta che, però, non ha scalfito la calorosa tifoseria isolana.

sigmundur-gunnlaugsson
Sigmundur Gunnlaugsson

Ma il 2016 è stato anche l’anno delle carte di Panama. I Panama Papers sono un enorme mole di documenti, circa 11 milioni, di una società finanziaria, la Mossak Fonseca, con sede nel paese centroamericano, che rilevano come vengono sottratti ingenti quantità di denaro al controllo statale. Si tratta di un scandalo dalle dimensioni globali. E tra i documenti è spuntato il nome del primo ministro islandese Gunnlaugsson.

A Gunnlaugsson, esponente del Partito Progressista, a capo del governo nazionale dal 2013, e alla moglie è stata ricollegata una società offshore con sede nelle Isole Vergini, celebre paradiso fiscale.

Gli islandesi, nello spirito del 2008, sono tornati a farsi sentire con delle manifestazioni di piazze. Il Primo Ministro, al secondo giorno di manifestazioni, nell’aprile scorso si è dimesso.

Le elezioni del 2016 in Islanda. La vittoria dei pirati?

Le elezioni di domani non hanno un esito scontato. I sondaggi danno in vantaggio il Partito dei Pirati (in islandese Piratar), anche se le ultime rilevazioni di ottobre hanno visto una calo dei consensi, con 21%. Sarebbe questo un notevole successo considerando che il partito nel 2013 ottenne il 5% delle preferenze.

I pirati sono tallonati, però, dall’Independence Party, partito conservatore di centrodestra che ha sostenuto Gunnlaugsson. In netto calo è il partito del premier uscente, il Partito progressista, il quale nonostante la denominazione ha una collocazione politica centrista e moderata, che non raccoglie più dell’8% dei consensi, circa un terzo di quelli raccolti nel 2013. Da segnalare la buona tenuta dei Verdi, circa al 10%, e Bright Future, formazione  europeista, liberale di centro ed erede del Best Party di Gnorr, che si attesta al 6%. In questo contesto i pirati non avrebbe i numeri per formare un governo monocolore.

I pirati potrebbero scegliere di allearsi con i Verdi e il Bright Future, concordando un programma con punti comuni da attuare.

ll programma dei pirati
pirate-party-logo
Logo del Partito dei Pirati islandese

Ma chi sono questi pirati e cosa propongono? I pirati islandesi fanno parte dell’Internazionale dei Partiti Pirati, che raccoglie i partiti pirati nazionali. E allo stesso modo è affiliato al Partito Pirata Europeo. Il movimento pirata ha, quindi, un respiro internazionale, ma nasce come espressione locale in Svezia nel 2006. I punti cardini del programma pirata sono la modifica del copyright e del diritto d’autore, il raggiungimento di una forma di democrazia diretta e la difesa dell’ambiente. Notevoli risultati sono stati ottenuti dal Partito Pirata Svedese e da quello tedesco. Il movimento è presente anche in Italia.

Il partito non si dichiara né di sinistra né di destra. Il programma dei pirati nordici prevede: la difesa dell’ambiente e degli animali,  la difesa della privacy personale, la depenalizzazione delle droghe leggere e l’adesione all’Unione Europea. Largo spazio nel programma è dato alla realtà di internet. I pirati promuovono le libertà digitali, richiedono una riforma del copyright e sostengono necessaria la partecipazione dei cittadini all’attività legislativa. I pirati hanno promesso, in caso di vittoria, di concedere l’asilo a Julian Assange, “prigioniero” da 4 anni nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra.

Ed è sulla democrazia diretta i pirati hanno focalizzato la loro campagna elettorale. I pirati mirano a facilitare ‘approvazione delle proposte di legge che partono dal basso e confermare le decisioni dell’Esecutivo attraverso consultazioni popolari. Non si presentano neanche con un leader perché i leader sono i cittadini.

Birgitta Jonsdottir
birgitta-jonsdottir-pirate-party
Birgitta Jonsdottir

Formalmente, il leader del Partito è Birgitta Jonsdottir, attivista, poetessa, pittrice e ex collaboratrice di Wikileaks, che potrebbe diventare la prima premier donna del paese. La Jonsdottir, in un’intervista al Guardian, ha definito il sistema politico islandese “corrotto e nepotista” paragonandolo alla Piovra della mafia siciliana. La volontà della Jonsdottir è quella di rovesciare tale stortura con la forza attiva e partecipativa dei cittadini islandesi.

La possibile vittoria dei Pirati ha, sicuramente, radice nelle recenti vicissitudini vissute dal paese. Ma contiene degli elementi autoctoni. La democrazia diretta, il cavallo di battaglia dei pirati, infatti, è già stata esperimentata nel paese. Oltretutto questa può essere facilmente applicata in una nazione che conta soltanto 231 mila cittadini.

Non resta che aspettare i risultati elettorali per sapere se l’Islanda diventerà l’isola dei Pirati.

 

 

 

Precedente Serendipità e Zemblanità: storie di parole straordinarie Successivo La Filadelfia italiana