L’arte della pace: da Peter Paul Rubens a Pablo Picasso

Scrive il filosofo fiammingo Justus Lipsius : “La guerra è destinata a durare finché sulla terra ci sarà il genere umano”. E ai pittori sarà sempre affidato l’arduo compito di ritrarre le drammatiche conseguenze delle devastazioni causate dai conflitti.  Ed è proprio questo è capitato, in epoche diverse e in latitudini diverse, a due grandi artisti che furono testimoni in prima persona, ma in maniera diversa, degli orrori che ogni guerra provoca: Peter Paul Rubens e Pablo Picasso. Sublimarono il loro dolore in due opere che testimoniano l’insensatezza della violenza umana: Le Conseguenze della guerra e Guernica.

 

Peter Paul Rubens (1577-1640)

Peter Paul Rubens nacque a Siegen (Germania) nel 1577. Il padre, originario di Anversa, era in esilio volontario  a Siegen per ragioni religiose e politiche. Il giovane Peter Paul decise precocemente di intraprendere la carriera artistica. Dopo i primi anni di studio ad Anversa, il promettente giovane affrontò l’Italia, culla dell’antichità e della cultura umanistica.

Gli anni italiani (1600-1608) furono centrali nella definizione della sua arte, della sua cultura e della sua persona. Al servizio del duca di Mantova, Vincenzo I Gonzaga, ebbe la possibilità di approfondire i propri studi sull’arte classica, attingendo al vasto patrimonio romano. Visitò Venezia, Mantova, Verona, Firenze, Genova e Roma (dove visse per 3 anni tra il 1605 e 1608) . Copiò alacremente tutto ciò che gli sembrava degno della sua attenzione. Fu tra i più precoci ammiratori di Caravaggio. Grazie al suo contributo si definirono i caratteri della pittura barocca.

Rubens: il pittore al servizio della pace

Tornò in patria nel 1608. Da subito fu assunto come artista di corte dagli arciduchi Isabella e Alberto d’Asburgo, reggenti della corona spagnola nelle Fiandre del Sud. Da sempre vicino al pensiero neostoico di Justus Lipsius. Applicò gli insegnamenti del filosofo fiammingo nella vita di tutti i giorni. Ma, soprattutto, lo fece nel mettersi al servizio della sua terra, martoriata da un violento conflitto tra la provincie del Nord calviniste e i dominatori spagnoli.

Negli anni ’20  partecipò frequentemente a numerose missioni diplomatiche in Olanda, in Francia e in Spagna. Lo scopo della sua azione, sostenuta dall’arciduchessa Isabella, era giungere alla pacificazione delle Fiandre. Nel 1630 fu l’inviato del re Filippo IV di Spagna a Londra per trattare una tregua nei Paesi Bassi. Raggiunse trionfalmente l’obiettivo e fu insignito, dal re Carlo I Stuart, del titolo di baronetto. Sir Peter Paul Rubens ricambiò donando al re inglese, grande amante dell’arte, un dipinto, vero e proprio compiendo delle aspirazioni pacifiste del pittore: L’allegoria della Pace (1630, Londra; National Gallery).

L’allegoria della Pace

Il dipinto mostra la Pace, personificata dalla donna al centro, che elargisce i suoi generosi doni. Si tratta di un esempio di Ex Pace ubertas. Dalla pace nascono sempre invitanti doni che allietano la vita. La scena non è però una statica rappresentazione della Pace trionfante. Ma contiene un elemento dinamico e di narrazione che sempre connota le opere di Rubens. Sullo sfondo si vede Minerva, simbolo della Ragione, che allontana Marte, dio della Guerra, e la furia della Guerra. La personificazione delle idee è un tema cardine della carriera artistica del pittore fiammingo, grande maestro, appunto, dell’allegoria. L’allegoria in Rubens non è complessa ed autoreferenziale, ma, pur nell’erudizione, conserva dei canoni d’ intelligibilità.

BAL21473 Minerva Protects Pax from Mars (Peace and War), 1629-30 (oil on canvas) by Rubens, Peter Paul (1577-1640); 203.5x298 cm; National Gallery, London, UK; Flemish, out of copyright
L’allegoria della Pace

La missione inglese segna il culmine dell’impegno politico di Rubens. Ed  allo stesso tempo ne segna la fine. Il pittore nel 1630 si ritirò a vita privata nel castello di Het Steen, sua proprietà. Si risposò con la giovane e bellissima Helene Fourment e visse in pace, dedicandosi alla pittura “la mia dolcissima professione”.

Tuttavia alla pace familiare e privata, non corrispose la pace politica del mondo esterno. Anzi, negli anni ’30 vi fu un deciso intensificarsi delle ostilità nelle Fiandre, nel contesto della Guerra dei Trenta anni. E Rubens da uomo sensibile rispose con la sua arte a questa situazione.

Le Conseguenze della Guerra
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Le Conseguenze della Guerra

Le Conseguenze della guerra (1637-1638) è un quadro unico, sia per la composizione che per la qualità pittorica. Ma, lo è sopratutto per la meravigliosa descrizione che ci ha lasciato l’autore. Rubens nel 1638 scrive la sua interpretazione del proprio quadro, in un perfetto italiano, inviando la preziosa tela al pittore Justus Sustermans, artista della corte medicea. Oggi la tela è conservata alla Galleria Palatina di Firenze.

La parola all’artista

” In quanto al soggetto egli è chiarissimo […], ma lo esplicherò con poche parole. La principale figura è Marte che, lasciando il tempio di Iano aperto (il quale ne’ tempi di pace stava serrato, secondo i costumi romani), va collo scudo e la spada insanguinata minacciando ai popoli grande rovina, curandosi poco di Venere sua dama, che si sforza con carezze e abbracciamenti a ritenerlo, accompagnata dalli suoi Amori e Cupidini. Dall’altra banda Marte viene tirato dalla furia Aletto, con una face in mano e due mostri accanto, che significano peste e fame, compagni inseparabili dalle guerra.

“Nel suolo”, continua Rubens, “giace rivolta una donna con il liuto rotto, che denota l’armonia (spezzata), la quale è incompatibile colla discordia della guerra. Sicome ancora una madre con il bambino in braccio, dimostrando che la fecondità, la generazione e la carità vengono traversate dalla guerra che corrompe e distrugge ogni cosa […]. Credo se ben ricordo […], che si troverà al suolo, di sotto i piedi di Marte, un libro qualche disegno in carta, per inferire che egli calca le belle lettere e altre galanterie[…]. Quella matrona lugubre, vestita di nigro e col vestito stracciato e spogliata delle sue gioie e d’ogni sorte d’ornamento, è l’infelice Europa, la quale già per tanti anni soffre rapine, gli oltraggi e le miserie, che sono tanto notorie ad ognuno che occorre specificarle”.

Il quadro si presenta come un evoluzione pessimista nel pensiero rubensiano rispetto al L’Allegoria della Pace. Gli anni che intercorrono tra l’esecuzione dei due quadri vedono, infatti, lo sfumare le speranze pacifiste, coltivate dell’artista anversano. Il quadro di Londra rappresenta il trionfo della Pace e l’esaltazione dei suoi benefici. Nel quadro di Firenze Marte, trainato dalla Furia, è ormai vittorioso, pronto a rilevare la sua essenza. Neanche Venere, simbolo dell’Amore, lo riesce a trattenere. L’Amore ha perso.  E la guerra porta con sé le conseguenze nefaste, così finemente tratteggiate dall’artista. E anche l’Europa non può che dolersene. Messaggio di grande profondità che sarà recepito e rivitalizzato dopo tre secoli esatti (o quasi) da Pablo Picasso.

Pablo Picasso

Su Pablo Picasso (1881-1973) moltissimo è stato detto e scritto. Limitiamoci a citare Daniel Henry Kahnweiler, mercante d’arte tedesco, che fu molto vicino all’artista spagnolo. “Nell’arte quest’uomo [Picasso] ha dato l’impronta ai nostri tempi: il nostro secolo è stato il secolo di Pablo Picasso. Certamente ci sono stati altri grandi pittori o scultori nella nostra epoca, ma più degli altri è stato Pablo Picasso non solo nella pittura, ma anche nella grafica, e nella plastica e, a dare vita a questo modo al nostro mondo visibile”.

Genio versatile ha variato nella sua lunghissima carriera il proprio credo artistico; dal periodo rosa e blu, al cubismo, di cui fu iniziatore e al surrealismo solo per citare alcuni passaggi nell’esperienza creativa del maestro di Malaga. Il suo credo politico, invece, non fu mai toccato dagli eventi della storia. Impegnato da sempre a denunciare le ingiustizie e le iniquità della società, fu un convinto sostenitore dell’ideale comunista. La sua fede non fu scalfita neanche dalle critiche di astrattismo giunte dall’ Urss per il ritratto di Stalin (1953). Per la sua vicinanza all’ortodossia sovietica fu condannato da Andrè Breton, ideatore del Surrealismo, convinto trotskista.

La potente voce dell’artista spagnolo non poteva restare impassibile di fronte alla guerra civile che sconvolse la Spagna tra il 1936 e il 1939.

Guernica

Il 26 aprile 1937 la cittadina di Guernica ( in basco Gernika) viene rasa al suolo da un bombardamento della Luftwaffe, l’aviazione tedesca, che appoggiava i rivoltosi guidati da Francisco Franco. Guernica,  centro della Biscaglia, nei Paesi Baschi,  è da sempre considerata il cuore pulsante dell’indipendentismo basco. La quercia di Guernica (che miracolosamente fu risparmiata dal bombardamento) è il simbolo della Biscaglia e il suo verde è presente nell’Ikurrina, la bandiera basca.

Picasso, in quel periodo, stava preparando un’opera, commissionata dal governo repubblicano spagnolo, per il padiglione nazionale all’Esposizione Universale di Parigi. La notizia della devastazione di Gernika lo colpì moltissimo. Mutò immediatamente il progetto. E a Parigi, dove il pittore viveva ormai da più di 20 anni, in 2 mesi (maggio-giugno 1937) dipinse Guernica.

Guernica
Guernica

Un dipinto di grandi dimensioni (349,3×776,6 cm), ma di un grandezza che supera i limiti materiali.

La guerra è raffigurata nelle sue conseguenze materiali e immateriali. Tutto nasce dal turbamento provato dall’artista di fronte alle fotografie della tragedia basca. Due volte mediata, ma restituita all’osservatore in tutta la sua gravità.

L’uso della bicromia (bianco-nero) amplifica la portata del dolore e dello sconforto. Il groviglio di elementi, figure, persone restituisce l’immediatezza del disastro. Segno di un’ineffabilità difficile da riportare in parole. Picasso risponde all’irrazionalità dell’operato umano con questo dipinto arduo da descrivere. Facile da ammirare e fonte di riflessione.

Resta, tuttavia, un barlume di speranza, simboleggiata nella lampada accesa. Nel turbinio di emozioni e di impulsi visivi a Picasso può essere venuto in mente Le Conseguenze della Guerra.

In un viaggio in Italia, infatti, Picasso visitò Roma e Firenze. Nella città toscana si recò a rendere omaggio alla grande arte italiana. Ed è qui alla Galleria Palatina che vide il quadro di Rubens.

Picasso fu sempre affascinato dal grande pittore fiammingo. E probabilmente si ricordò di questa memoria rubensiana nell’esecuzione del Guernica.

Elementi del Guernica evidenziano la reminiscenza del quadro fiorentino come nella donna che giace morta (Armonia), nella donna con il figlio (la Carità) e nei mostri della Peste e della Fame.

Ma, più dei singoli caratteri, è nel senso complessivo che si coglie l’influenza di Rubens. Il senso di spaesamento, di impotenza e dell’inutilità della guerra sono, infatti, componenti comune. In una cosa, però, differiscono. Picasso vede una speranza di rinascita, simboleggiata dal fiore e dalla lampada.

Picasso vide la luce dopo la guerra. In Rubens, invece, il messaggio è totalmente negativo. Neanche l’amore ferma l’irrazionalità della Guerra.

Rubens spirò nel 1640, mentre l’Europa era sconvolta da una dura guerra. Picasso sopravvisse alla guerra civile spagnola e alla seconda guerra mondiale. Morì nel 1973 in un’Europa pacificata.

La storia del Guernica si concluse, però, dopo la morte del suo autore. Il dipinto, infatti, non poteva certo essere apprezzato nella Spagna franchista. Picasso stabilì che il dipinto non potesse essere ospitato in patria fintantoché sarebbe durata la dittatura. Fu esposto, così, al MoMa di New York. Nel 1974 subì l’atto vandalico di Tony Shafrazi, che diventerà, poi, un gallerista di successo negli anni ’80.

Nel 1982, dopo la transizione democratica, il quadro approdò a Madrid, prima al Museo del Prado e ora al Centro de Arte Reina Sofia.

Il messaggio di Guernica è ancora oggi attuale tanto che un artista ha adattato il quadro al contesto della guerra in Siria.

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