L’Apocalisse della piccola Repubblica di Nauru

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Veduta aerea dell’Isola di Nauru

La vicenda della Repubblica di Nauru è esemplare per comprendere le conseguenze dello sfruttamento del nostro pianeta. Il disastro ambientale della piccola isola dell’Oceano Pacifico ha, infatti, veramente dell’incredibile. E un luogo che potrebbe essere un autentico paradiso terrestre, circondato dal profondo blu oceanico, si è trasformato in un autentico inferno dove niente è stato risparmiato dalla catastrofe: né l’ambiente, né l’economia locale e neanche gli abitanti. Nauru, oggigiorno, deve combattere per la propria sopravvivenza politica, ma anche per quella fisica!

La storia di Nauru è, perciò, degna di essere raccontata e conosciuta perché la più piccola repubblica del mondo non venga consegnata alla storia come laboratorio delle conseguenze nefaste dell’industrializzazione e del riscaldamento globale.

Nauru: la più piccola repubblica del mondo

Nauru è la repubblica degli estremi e dei record. E considerando la sua estensione questo non può che colpirci ancora di più.

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La posizione geografica di Nauru

Nauru è un’isola situata nell’Oceano Pacifico e si trova a circa 4500 km dalle coste dell’Australia. La sua superficie è di 21 km quadrati. La sua estensione corrisponde a sette volte il Central Park di New York! Si tratta di un’isola per lo più pianeggiante (il rilievo più “alto” misura 61 metri) circondata quasi completamente da una fitta barriera corallina. L’isola più vicina a Nauru è Banaba Island, isola che fa parte dello stato del Kiribati. Banaba Island dista da Nauru circa 300 km.

Politicamente l’isola è una repubblica democratica. L’esigua superficie la rende la repubblica più piccola al mondo. Infatti, nel mondo, solo due stati, che però non sono repubbliche, sono più piccoli di Nauru: il Principato di Monaco (2,1 km quadrati) e la Città del Vaticano (0,44 km quadrati). Ha una popolazione di circa 10 mila abitanti.

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La bandiera della Repubblica di Nauru. Il blu rappresenta l’oceano. La linea gialla l’equatore e la stella raffigura l’isola. La stella ha 12 punte come il numero delle tribù isolane

La piccola repubblica si contraddistingue anche per essere l’unico stato al mondo senza una capitale designata. De facto, però, Yaren, che è l’insediamento più numeroso e dove si trova la sede del governo, è la capitale.

La storia dell’isola

L’isola è abitata dall’uomo da almeno 3000 anni. Le prime genti che la raggiunsero era Micronesiani e Polinesiani. La comunità locale, divisa in 12 tribù, trovò il sostentamento soprattutto nella pesca. E non è causale che l’etimologia del toponimo derivi proprio da questo. Nauru in lingua locale significa infatti “Io vado sulla spiaggia”.

Il primo occidentale a mettere piede sull’isola fu l’inglese John Fearn, capitano della marina britannica e noto baleniere, nel 1798. Fearn ribattezzò l’isola “Pleasant Island”, l’Isola piacevole, per la sua natura incontaminata. Oggi il capitano avrebbe da ricredersi perché Nauru è tutto fuorché piacevole.

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Immagine della cerimonia d’annessione di Nauru alla Germania (1888)

Dal 1798 iniziò la frequentazione degli occidentali che, però, fu alquanto sporadica. Gli europei introdussero nell’isola le armi da fuoco che vendevano ai locali in cambio di cibo. Le armi causarono la morte di un terzo della popolazione nauruana in una violenta guerra intertribale (1878-1888).

Nel 1888 l’isola finì sotto la giurisdizione dell’Impero coloniale Tedesco. La Germania incorporò l’isola nella Nuova Guinea Tedesca. L’isola fu governata da un amministratore tedesco ponendo, così, fine alla sovranità dei re nauruani. L’occupazione della Germania imperiale durò fino al 1918. Dal 1919 Nauru entrò a far parte dell’Impero britannico.

Nel 1900 furono scoperti amplissimi giacimenti di fosfato nel sottosuolo nauruano. Da subito iniziarono le trivellazioni e gli scavi sull’isola. Questo evento mutò per sempre il volto dell’isola, l’economia locale e il destino dei nauruani.

Nel corso della seconda guerra mondiale Nauru fu occupata dai giapponesi. Nel dopoguerra si avviò il processo di autodeterminazione nazionale che si concluse con la dichiarazione d’indipendenza nel 1968. Nasce, come detto, la repubblica più piccola del mondo. Una repubblica fondata sulla ricchezza del fosfato.

Il fosfato e i suoi costi naturali
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Una miniera di fosfato a Nauru

Il fosfato è stata la ricchezza e la rovina di Nauru. Il minerale era particolarmente prezioso poiché aveva un uso alquanto versatile in molti settori. Il fosfato è utilizzato nell’industria e nell’agricoltura. La ricerca del fosfato ha cambiato il volto all’isola.

Le aree boschive di Nauru sono state abbattute per fare posto a delle imponenti miniere di fosfato a cielo aperto. Il terreno oggi è arido, desolato e spoglio.  L’isola è caratterizzata dalla costante presenza pinnacoli calcarei che coprono l’80% della superficie di Nauru. Soltanto il 20% del terreno è abitabile. Si tratta di una sottile linea che percorre quasi tutto il perimetro isolano. L’entroterra è completamente devastato. Non esiste sull’isola un terreno coltivabile!

Lo stravolgimento dell’ambiente isolano ha portato con sé anche un deciso cambiamento climatico. Il clima tropicale è stato sostituito da un clima desertico e secco. La deforestazione ha causato, inoltre, la scomparsa quasi totale della fauna locale.

In questa catastrofe ecologica le acque non sono state risparmiate. Il mare attorno a Nauru è, infatti, gravemente inquinato dai fosfati sversati. La causa indiretta di questo è la barriera corallina che circoscrive l’isola. Infatti nel trasporto il fosfato veniva posizionato in lunghi nastri trasportatori che collegavano la costa alle navi merci, bypassando così lo scoglio naturale. Nel corso degli anni, però, parte del fosfato è caduto nel mare provocando l’inquinamento. L’inquinamento delle acque ha ucciso definitivamente la pesca legando il destino dell’economia nauruani all’attività estrattiva.

L’attività delle miniere ha imposto anche l’installazione di costosi impianti di desalinizzazione delle acque, poiché l’isola era sprovvista di sufficienti risorse d’acqua dolce. Il finanziamento per gli impianti è venuto dall’estero facendo, così, aumentare il debito pubblico nauruano.

Di questa situazione anche i nauruani ne scontano le conseguenze.

 La ricchezza di Nauru

Nauru si è pasciuta della ricchezza del suo sottosuolo e anche i nauruani ne hanno goduto (forse eccessivamente). L’estrazione del fosfato ha variato, come detto, l’economia locale e anche le attività degli isolani che hanno abbandonato la pesca per le miniere. La rinuncia a un mestiere così secolare, da sempre fonte primaria per il sostentamento ha fatto emergere nuove abitudini alimentari. Non sempre salutari. Ed è, infatti, aumentato il consumo di surgelati, prodotti industriali e di importazione.

Questo si è verificato nel secondo cinquantennio del secolo scorso quando l’economia isolana era florida grazie al fosfato. Il governo locale decise anche di finanziare la costruzione di un sontuoso grattacielo a Melbourne conosciuto come Nauru House. L’edificio di 190 metri fu completato nel 1977.

Il governo nauruano ha inoltre finanziato, attraverso la Nauru Phosphate Corporation,  vari spettacoli teatrali a Londra. Come ad esempio Leonardo the Musical: A portrait of Love (1993), rappresentazione musicata della vita dell’artista Leonardo da Vinci. Il finanziamento si aggirava intorno ai 4 milioni di dollari. Una visione miope e scellerata di cui oggi Nauru paga le conseguenze.

La crisi del fosfato e le conseguenze

L’esaurimento dei giacimenti di fosfato, all’alba del nuovo millennio, ha lasciato il paese in una situazione catastrofica. Oggi il paese non può far fronte alle proprie esigenze, spolpato com’è dalle trivellazioni. L’economia è al collasso. Simbolo del disastro è la vendita della Nauru House nel 2004. La crisi ha incrinato l’istituzione nazionale posta sempre più pesantemente sotto il controllo australiano. In questo senso è da leggere l’uso del dollaro australiano come valuta corrente.

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L’obesità è un problema molto diffuso a Nauru

Nauru è nota per due poco invidiabili record, frutto degli errori nella gestione nazionale. Per prima cosa i nauruani sono il popolo con una più alta percentuale di obesi. Circa il 94% dei 10 mila abitanti dell’isola è sovrappeso e il 72% è obeso. Elevatissimo è il tasso di malati cronici per i danni del peso eccessivo. Il 40% dei nauruani è diabetico (di tipo 2). Per chi pensava che statunitensi fossero il popolo più carne, ebbene, sappia che si sbagliava. E non causalmente i corpulenti sollevatori di peso nauruani sono tra i apprezzati al mondo.

Tutto questo è causato, come scritto precedentemente, indirettamente dall’attività estrattiva che ha sconvolto l’economia locale. La ricchezza per Nauru è stata effimera, ma le conseguenze non lo saranno.

Il secondo record riguarda il turismo. L’isola è l’ultima nazione al mondo per numero di presenze turistiche. Nel 2011 solo 200 visitatori. Sull’isola esistono solo 2 strutture recettive. I collegamenti aerei per Nauru non sono frequenti e partono soltanto dall’Australia. La desolazione e la distruzione dell’ecosistema isolano hanno influito fortemente nell’ottenimento del record.

Per ampliare i visitatori il governo australiano ha pensato di creare sull’isola dei centri di detenzione per i migranti asiatici che tentano di entrare nella terra dei canguri. Non proprio degli alberghi a 5 stelle. Dei lager del XXI secolo.

Nauru e gli scandalosi centri di detenzione australiani
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Migranti detenuti nei centri australiani

La vergognosa politica perpetuata dal governo australiano ha inizio nel 2001. All’epoca, a causa della crisi del fosfato, il governo di Canberra  divenne il maggior contribuente delle casse della Repubblica. Questo ha innescato la trasformazione dell’isola in una sorta di protettorato australiano. L’autonomia dell’isola è in pericolo. E la radice di questo male è da ricercarsi, al solito, nella scellerata gestione dei proventi dell’ estrazione dei fosfati.

Amnesty International con un rapporto diffuso pochi giorni fa , Island of Despair ( “l’isola della disperazione”), ha illustrato le condizioni di vita dei migranti sull’isola. La relazione è stata redatta a partire grazie al contributo dei migranti. Pochi sono stati i membri dell’organizzazione britannica a cui è stato consentito l’accesso nella remota isola.

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Manifestante australiana contraria ai centri di detenzione

A Nauru l’Australia ha imprigionato 1159 persone (tra rifugiati e richiedenti asilo). Tra di loro ci sono anche 139 bambini. Sono presenti apolidi, iraniani, cingalesi, indiani, afghani, siriani e birmani. Sfuggono alla fame e alla guerra e si ritrovano in prigione. La detenzione media si aggira intorno ai 18 mesi. Le condizioni materiali in cui vivono sono raccapriccianti. Niente aria condizionata, container arrugginiti e pericolanti, malattie infettive (come la tubercolosi) e nessuna sicurezza. Contro i migranti si sono verificate anche aggressioni sessuali e angherie degli isolani. Frequenti tra i migranti è il manifestarsi di sintomi depressivi. Ci sono stati anche casi di suicidi.

La responsabile del progetto di Amnesty Anna Neistat ha dichiarato: “A Nauru, il governo australiano gestisce una prigione a cielo aperto il cui scopo è di infliggere la sofferenza ritenuta necessaria per scoraggiare alcune delle persone più vulnerabili del mondo a cercare riparo in Australia”. Niente da aggiungere.

L’Australia usa gli stessi (discutibili) metodi detentivi anche nella famigerata Christmas Island (Australia) e a Manus Island (Papua Nuova Guinea).

Quello che è più sconvolgente è il silenzio della comunità internazionale.

Quale futuro per Nauru?

I danni della distruzione dell’ecosistema dureranno ancora molto. Forse per sempre. Ed è difficile individuare quale destino toccherà a Nauru. Privata di un’economia di sostentamento Nauru ha tentato recentemente di convertirsi in un paradiso fiscale. Ma invano.

I contributi australiani garantiscono la sopravvivenza dell’isola. Ma quando dureranno?

Un altro pericolo, però, si affaccia nel futuro nauruano. L’innalzamento dei mari mette a rischio la presenza fisica della pianeggiante Nauru e del suo esiguo territorio abitabile. Esiste perfino un piano di evacuazione dell’isola per scongiurare tale eventualità.

La vicenda di Nauru è paradigmatica. L’avidità umana ha devastato la natura. E l’uomo non ha saputo darsi delle alternative. Alla devastazione dell’ecosistema si è aggiunta la perdita dell’umanità. Adagiata tra i paradisiaci atolli dell’Oceano Pacifico Nauru ci fornisce una cartolina dell’Apocalisse che ci attende se non proviamo a variare la nostra prospettiva nell’uso delle risorse naturali.

 

 

 

 

 

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